Scacchi e educazione: la ricerca di ciò che è vero
Alessandro Pompa, maestro di scacchi e di scuola, è il pioniere della gioco-motricità scacchistica. Gli scacchi sono simbolismo puro per gli adulti, mentalizzazione del movimento, ma con i bambini piccoli Pompa ha ideato la tecnica degli scacchi “agiti”, dove i bambini diventano i pezzi e si muovono su un tappeto a scacchiera. Con questa innovazione ha ottenuto risultati formativi e terapeutici importanti, tanto che si è diffusa a livello internazionale.
Gli scacchi possono essere uno strumento terapeutico e di rieducazione per i bambini?
In un libro Per una scuola amica: curriculi speciali per bambini speciali abbiamo raccontato l'esperienza degli scacchi con bambini con disabilità. Per fare in modo che possano essere conquistati alla scuola e, in prospettiva, alla vita, creando loro vestiti su misura”.
L'Italia può essere considerata, rispetto agli altri paesi europei, un'avanguardia nell'insegnamento degli scacchi ai bambini della prima infanzia?
“Credo che dall'Italia sia nato tutto, ma poi gli altri paesi hanno sviluppato, ognuno a suo modo, questo insegnamento in maniera originale. Da quando è diventata nota l'esperienza degli scacchi agiti, a quanto pare si è diffusa un po' ovunque”.
Per quanto riguarda la didattica online degli scacchi, in questo periodo di quarantena, quali sono i limiti e quali le opportunità?
“Sicuramente non è la stessa cosa insegnare online. Lo dice anche il Grande maestro Sergio Mariotti (N.d.R. più volte campione italiano). Le lezioni online diventano inevitabilmente più difficili, più tecniche, meno emozionanti e in grado di far vibrare le corde che un grande campione può stimolare con lo sguardo, con i gesti, con il tono della voce.
Gli altri sport, in cui non si usa la mente, sono quasi tutti fermi. Gli scacchi, al tempo dell'emergenza sanitaria, si sono giocati ugualmente. E quindi potrebbero godere paradossalmente di un grande ritorno positivo quando la situazione tornerà alla normalità”.
Gli scacchi sono uno strumento educativo e di crescita, che differenze ci sono con il mondo agonistico?
“Personalmente ho rischiato di diventare un agonista puro perché a 20 anni ero campione italiano dei giovani e il mio interesse era solo perfezionarmi tecnicamente. Poi mi proposero di insegnare gli scacchi in una scuola. Fu un caso. In quella scuola, costruita a poche centinaia di metri dal luogo dove aveva trovato la morte Pier Paolo Pasolini, all'idroscalo di Ostia, la metà dei bambini aveva il padre in carcere e la madre che esercitava il mestiere più antico del mondo. E in quel contesto mi resi conto, da scacchista agonista che non aveva mai visto un bambino, quanto fosse grande il mondo e quanto ancora dovevo scoprire”.
Come andò il primo giorno di scuola?
Fui bersagliato di gessi dai bambini il primo giorno. Ma gli stessi bambini, strappati alla strada, vinsero qualche mese dopo il titolo di campioni regionali. Incontrai di nuovo uno di quei bambini molto tempo dopo, era diventato grande ed era appena uscito dal carcere. Mi vide e mi riconobbe, si mise a piangere. Mi disse quanto fossero stati importanti per lui gli scacchi in carcere, perché si era reso conto di quello che era riuscito a fare con la sua mente, quand'era bambino, dei risultati che aveva raggiunto. Era molto bravo a scacchi. Grazie a quello che aveva imparato da bambino aveva riconquistato in carcere l'autostima, ed era certo che sarebbe riuscito a cambiare vita. A distanza di anni ho saputo che ce l'aveva fatta e che viveva una vita felice”.
C'è chi dice che per il bambino sarebbe più importante focalizzarsi sull'apprendimento delle materie scolastiche classiche (italiano e matematica) piuttosto che sugli scacchi. Cosa ne pensa?
“In realtà attraverso il gioco, attraverso gli scacchi, si possono apprendere tutte le materie. D'altra parte non è Dante che nel paradiso paragona agli scacchi le schiere degli angeli? “Più che ‘l doppiar de li scacchi s'inmilla”.
Potremmo parlare di Boccaccio, delle novelle del Decameron ispirate agli scacchi. Ma non ci sono solo i riferimenti letterari, gli scacchi sono una lingua, una lingua utilizzabile anche da chi è cieco, da chi è sordomuto, da chi è distrofico e non può più neanche parlare, ma può usare il mento per farlo scivolare su un telefono e giocare.”
Vincenzo Costabile è nato nel 1991 a Cosenza. Si è trasferito a Roma la prima volta nel 2009 per studiare psicologia all'università. Partecipa a tornei di scacchi dal 2008 ed è diventato istruttore nel 2013. Insegna la disciplina scacchistica a giovani, adulti e bambini. Collabora con la testata giornalistica Roma h24. Nel 2018 è diventato arbitro della Federazione Scacchistica Italiana. Ha lavorato come insegnante di italiano per i migranti e come educatore in Sud america.