Reykjavik 72: quell’indimenticabile “match del secolo”
Autore: GM Sergio Mariotti
Pubblicato sul blog "Uno Scacchista" in due puntate
il 25 e 26 dicembre 2020
Se Boris Spassky non avesse accettato di giocare in privato, al primo piano, nella sala del ping-pong, invece che nel salone del piano-terra dello Sport-Stadion di Reykjavik, dove quattro giorni avanti aveva vinto la prima partita del match contro il bizzoso Challenger americano, Robert Fischer non sarebbe mai diventato Campione del Mondo.
Ma la storia -ammoniva Benedetto Croce- non ammette ipotesi, non si fa con i ‘se'.
Da buon seguace della “religione dell'aria” predicata dalla sua setta di Pasadena, Bobby aveva già prenotato un comodo posto su tutti i voli in partenza domenica 16 luglio 1972 -giorno fissato per la terza partita- avendo deciso di piantare tutto e ritornarsene a farneticare in parrocchia, agli ordini del suo amato pastore Armstrong.
Aveva perduto malamente la sopraddetta partita, prendendo alla mossa n. 29 quel disgraziato “pedone avvelenato” e non riuscendo poi a trovare una continuazione buona. Il ronzio delle telecamere -secondo lui- l'aveva costretto a commettere la malaugurata ‘cappella', e perciò Bobby non si era presentato a giocare la seconda partita che, a norma di regolamento, era stata assegnata a Boris Spassky dall'arbitro Lothar Schmid.
In verità, dopo la levata di scudi di Fischer contro le telecamere, gli organizzatori avevano risolto il problema, sistemandole in un pozzo vicino al palcoscenico e rendendo così quasi impercettibile il loro rumore (55 decibel scarsi!). C'era un contratto con un certo Chester Fox e non si poteva mandarlo a monte per esaudire l'ennesimo capriccio di Bobby. Ma Fischer era stato irremovibile: ‘Via le telecamere o me ne vado!'.
Gudmundur Thorarinsson, presidente della Federazione scacchistica islandese, era disperato, e tutti erano amaramente delusi a Reykjavik, Spassky compreso. Fischer stava per andarsene davvero.
Non l'aveva già compiuta un'impresa del genere quando, nel 1967, piantò tutti all'interzonale di Sousse, in Tunisia, ritirandosi al momento in cui comandava la classifica con tre patte e sei vittorie?
Il mondo degli scacchi, che aveva tanto delirato per la “sfida del secolo”, dovette quel giorno esternare il suo sdegno e tutto il suo raccapriccio; gli stessi circoli di New York e di tutta l'America stavano per insorgere contro il loro pazzo idolo.
Ma ecco che a mezzogiorno il monomaniaco ci ripensa (si dice che abbia ricevuto addirittura una telefonata dal segretario di Stato USA Henry Kissinger!) e fa sapere, attraverso un suo rappresentante, che è disposto a continuare il match, purché si giochi privatamente, senza telecamere e senza pubblico, in un'altra sala dello Sport-Stadion. E' la sua ultima parola: prendere o lasciare.
L'arbitro interpella Spassky, che si consulta con il suo entourage. I sovietici accettano, sicuri come sono della loro forza. In fin dei conti chi è questo Bobby Fischer? Uno sbruffone, un parolaio … Ha sconfitto nettamente un Petrosjan, ha annientato un Tajmanov e un Larsen, tutti e due per 6 a 0? E' vero. Ma con Spassky non le ha forse prese per ben tre volte? Accontentiamolo pure e lasciamo che si cuocia nel suo brodo di pedoni avvelenati e di alfieri perduti.
Dunque, si ricomincia, nella sala del ping pong: Chester Fox e i suoi bravi cameramen non possono far altro che rassegnarsi.
Il Campione del mondo in carica, come al solito puntuale e garbato, arriva per primo nella nuova sala da gioco. Si accomoda nella sua elegante poltroncina nera, fa la sua mossa col Bianco e mette in moto l'orologio con un ben assestato colpo d'indice.
Fischer non c'è. Ma appena arriva, qualche minuto dopo con la cravatta sgargiante, e vede sulla scacchiera il “d4” di Boris, comincia subito a protestare a gran voce. Il sovietico -egli blatera- gli ha mancato di riguardo, iniziando a giocare prima del suo arrivo!
Allora Spassky mette da parte la sua calma proverbiale e la sua tanto ammirata politeness e si arrabbia anche lui. Apriti cielo …
(Non dimenticato è anche questo bel libro di Mario Monticelli)
... scoppia quasi una rissa. Il russo, che parla correntemente l'inglese, urla all'americano: ‘Qui non ci gioco più. Se proprio te la senti di giocare con me e non hai paura, vieni giù nel salone, di fronte a tutti!'.
Fischer invece va fuori dai gangheri. Il suo volto è paonazzo, i suoi occhi di fuoco sembrano schizzare scintille, la sua bocca vomita parole che farebbero inorridire persino il più sguaiato dei cow-boy. Una belva ferita. Il momento è drammatico. Il malcapitato Lothar Schmid è bianco in faccia come un fantasma. Sbigottisce. Poi si riprende e si mette a fare acrobazie per abbonire i due energumeni, coadiuvato da qualche volenteroso. ‘Boris, ti supplico, sii bravo come sei sempre stato, hai promesso di giocare qui … Bobby, per favore, calmati, sii gentile…' La voce del Grande Maestro tedesco è suadente, ma la gazzarra tocca il diapason. Allora gli viene in mente d'invocare Caissa, l'adorata musa degli scacchisti.
E Caissa risponde, stendendo il suo manto di pace sulla contesa. Come per incanto, nella sala del ping pong torna la quiete, dopo la tempesta. Fischer chiede addirittura scusa delle parolacce. Che bravo ragazzo è diventato! Si siede, ma è ancora tremante e pallido. Dà di piglio, con un gesto felino, al ligneo e nero cavallo che gli sta davanti lì nella casa “g8” e lo colloca nel centro esatto della casa “f6” facendogli fare un tonfo. E' l'ultimo guizzo dei suoi nervi delicati. Poi si calma sempre più e così anche Spassky.
Ne viene fuori una meravigliosa “Benoni moderna” considerata poi dallo stesso Bobby come la migliore del match. Forse è la prima volta che l'ira partorisce un capolavoro dell'arte, almeno in materia di scacchi.
Ma godiamocelo, questo capolavoro … con calma:
Boris Spassky
Robert Fischer
Match per il Campionato del mondo 1972 (3)
16 luglio 1972 Reykjavik
1.d4 Cf6 2.c4 e6 3.Cf3 c5 4.d5 exd5 5.cxd5 d6 6.Cc3 g6 7.Cd2 Cbd7 8.e4 Ag7 9.Ae2 0-0 10.0-0 Te8 11.Dc2 Ch5 12.Axh5 gxh5 13.Cc4 Ce5 14.Ce3 Dh4 15.Ad2 Cg4 16.Cxg4 hxg4 17.Af4 Df6 18.g3 Ad7 19.a4 b6 20.Tfe1 a6 21.Te2 b5 22.Tae1 Dg6 23.b3 Te7 24.Dd3 Tb8 25.axb5 axb5 26.b4 c4 27.Dd2 Tbe8 28.Te3 h5 29.T3e2 Rh7 30.Te3 Rg8 31.T3e2 Axc3 32.Dxc3 Txe4 33.Txe4 Txe4 34.Txe4 Dxe4 35.Ah6 Dg6 36.Ac1 Db1 37.Rf1 Af5 38.Re2 De4+ 39.De3 Dc2+ 40.Dd2 Db3 41.Dd4
Ecco la posizione prima della “chiusura della busta”, ovvero dopo il tratto n. 41 (41.Dd4) del Bianco:
Spassky e i suoi secondi (Geller, Krogius e Nei) fanno la notte bianca analizzando il gioco. Sono preoccupati, perché temono che Bobby abbia sigillato la mossa vincente. Se è così, non c'è niente da fare. L'indomani pomeriggio, quando Schmid apre la busta, Spassky può infatti vedere il grosso “Ad3+” di Bobby. Non gli resta che rovesciare il suo Re e andarsene.
Dopo 15 minuti buoni arriva, tutto ansimante, l'americano. Lancia uno sguardo sulla scacchiera. Gli occhi di Bobby brillano di felicità: è la prima volta che vince una partita contro il russo! Firma freneticamente il modulo delle mosse e corre fuori. Salta sulla “Mercedes” e si allontana furiosamente assieme al suo secondo, padre Lombardy. Ora Fischer sa più che mai che può farcela. Deve solo contenere il suo nervosismo, anzi il suo isterismo. Deve giocare tranquillo e non far capricci come un ragazzino viziato.
Il 18 luglio si riprende a giocare nel salone, con il pubblico ma senza le telecamere. La quarta partita è una patta. Ma il 20 luglio Fischer vince la quinta, una bellissima “Nimzoindiana” di 27 mosse. Nei giorni successivi vince anche la sesta, l'ottava e la decima. Dilaga. Boris riesce soltanto a pattare la settima e la nona. La potenza strategica di Bobby è veramente formidabile, e la sua tattica è sconvolgente.
Il mese di luglio se n'è andato, ma se ne sta andando a rotoli anche Spassky.
Già da un pezzo il russo è in crisi, i suoi gesti tradiscono un linguaggio intimo che è la coscienza di trovarsi in un vicolo cieco da cui non si esce se non sconfitti. La sua mente vacilla, comincia ad essere sopraffatta da quella di Fischer. La malìa del settario di Pasadena l'ha già preso nelle sue spire, inesorabilmente.
Spassky commette errori su errori, alcuni quasi elementari. Sta quasi sempre in zugzwang; le combinazioni mal gli riescono, gli scambi sono sfavorevoli, il tempo lo assilla: gli stanno accadendo cose strane, inspiegabili.
Pur tuttavia, il 6 agosto Spassky riesce a vincere una siciliana col Bianco, in 31 mosse. Riprende fiato. Patta la dodicesima partita col Nero, ma nella tredicesima, col Bianco, soccombe dopo una durissima lotta di 74 mosse.
Il distacco si fa pesante, siamo sul 8-5. Seguono ben 7 patte. Fischer, da buon volpone, accumula preziosi mezzi punti che l'avvicinano, lentamente ma sicuramente, alla mèta agognata. Gioca con estrema accortezza, sfrutta immediatamente il minimo errore del sovietico, sembra veramente imbattibile.
Il Campione del mondo Spassky, il giocatore che si era creato il mito dell'invulnerabilità, il rappresentante più forte in assoluto della temuta e riverita scuola sovietica, sta crollando a poco a poco, si sta sgretolando sotto i colpi tremendo dell'americano.
Com'è possibile … i russi non si capacitano. Sembra impossibile che Boris, il loro gigante roccioso, sempre calmo, impassibile, vincitore di tante magnifiche battaglie, ora invece si trovi in una così triste condizione di succubo. Ci dev'essere qualcosa, qualche misteriosa forza esterna che agisce, fiaccandolo, sul suo grosso cerebro, prima così scattante e adesso mezzo intorpidito. Ma che cosa? … Un gas? … Un veleno? … Stanno i disonesti yankee applicando al nobil giuoco le nefandezze della guerra chimica o di quella elettronica?
Perché Fischer ha tanto insistito per quel sistema d'illuminazione così forte nel salone e perché vuole sedersi alla scacchiera sempre sulla stessa poltroncina fattasi mandare espressamente da New York? Gli americani stanno barando, ecco … sic et simpliciter! Aah, ora si disturba finanche la lingua latina, qui al Campionato mondiale di scacchi … e perché no? Il motto della FIDE non è forse scolpito in latino? GENS UNA SUMUS … una e sospettosa, malfidente, maligna.
Qua bisogna subito fare dei controlli, tuona Nikolai Krogius da dietro i suoi lugubri occhialoni neri. Il KGB è in allarme. Il Grande Maestro Geller, il tarchiato secondo di Spassky col faccione da boxeur, è incaricato di pronunciare ufficialmente le gravi accuse al clan americano. E' il 22 di agosto. Ci sarà da divertirsi. Ora sono i russi a rompere le scatole ai bravi organizzatori di Reykjavik, che finalmente cominciano a spazientirsi anche loro.
Ha inizio una rabbiosa caccia alle streghe.
Le poltroncine vengono radiografate, smontate, scollate, smembrate, impietosamente. Si trova, oibò, una pallina di mastice secco: la si analizzi! Niente di positivo per gli accusatori, ahimé! Si trovano in un lampadario due grossi mosconi stecchiti: forse sono stati fulminati dal raggio della morte del Pentagono … ilarità.
“Andate al diavolo, russi della malora”, va intanto sghignazzando Bobby Fischer, che si sollazza molto a vedere i sovietici stupidamente indaffarati alla ricerca di belzebù. Ma il diavolo è proprio lui, che, con la sua mefistofelica volontà di vincere e distruggere, sta giocando implacabilmente, sta mettendo in ginocchio non soltanto un grande giocatore di scacchi ma tutta una potentissima nazione.
Si arriva al 31 di agosto. Il punteggio è di 11,5 a 8,5 per l'ormai giulivo e baldanzoso Bobby. Si gioca la ventunesima partita del “match del secolo”. Un punto divide Fischer dalla tanto sognata corona di Campione del mondo. Spassky gioca coi pezzi bianchi.
La delegazione sovietica è in preda all'orgasmo. Nel Salone dello Sport-stadion il clima è febbrile, spasmodico. C'è ancora un filo di speranza: sembra che Boris abbia ancora qualche chance. L'arrivo della sua bella mogliettina ha tirato un po' su un morale che era molto basso. Si tratta di una Siciliana (la partita, non la signora!) con la difesa Paulsen. Anche l'undicesima, vinta da Spassky il 6 agosto in 31 mosse, era una Siciliana! Bedda matri, la partita è avvincente. Gli spettatori sono affascinati. Nei circoli scacchistici del pianeta Terra si freme. Anche l'uomo della strada s'è fatto prendere dalla scaccomania che quel diavolaccio d'un Fischer ha fatto da alcuni mesi scoppiare al Polo Nord e che è dilagata con reazioni a catena ovunque, su tutto il globo terraqueo.
Nei bar di New York e di Chicago le scommesse fioccano. Gente che prima faceva fatica a distinguere le orecchie di un cavallo dai merli di una Torre, ora si permette il lusso di disquisire sulla difesa ortodossa, sull'attacco Rauzer e persino sulla tortura di Tartakower. Incredibile …
Due mondi, due sistemi di vita stanno di fronte a Reykjavik: la Russia e l'America. E' la guerra, sì, la guerra! Chi vincerà, il comunismo o la libertà? “Posso dire che mentre siedo davanti alla scacchiera, sono un giocatore di scacchi e non un politico” dichiara Spassky, che, in effetti, la tessera del Partito non ce l'ha. “M'interessa soltanto la mossa migliore”, afferma seccamente l'americano, che qualcuno definisce addirittura “di destra”.
Ma bando alle chiacchiere. In Islanda si sta disputando un semplice match sportivo, delle semplici partite di scacchi. Accanitamente, mossa dietro mossa. A proposito di mosse, i due famosi contendenti giungono alla quarantunesima e … ancora suspence per tutti: si decide di aggiornare la partita. Sono state lunghe ore di aspra lotta. Spassky fa sigillare la mossa del Bianco. “Alfiere in d7”. Ahimé, non è la migliore. L'angosciosa analisi notturna lo dimostra senza pietà. Domani Fischer potrà pattare facilmente o anche vincere. Il Re in “h3” avrebbe offerto una maggiore resistenza.
Alle 12,50 di venerdì 1° settembre, Boris Spassky, ormai rassegnato, dall'albergo in cui ha trascorso una nottata allucinante pensando alle cupe, ineluttabili rampogne dei commissari culturali moscoviti, telefona al buon Lothar Schmid e con voce sommessa gli comunica la decisione di abbandonare.
‘Bubby Fissa' (come lo chiamano i simpatici islandesi) è il nuovo Campione del Mondo. La supremazia russa negli scacchi internazionali è finita.
Fischer l'egoista, il rappresentante dell'aborrito mondo capitalista, nekulturnij Bobby, il giocatore che si autoproclama il più grande artista della storia degli scacchi ma che considera il denaro più importante dell'arte stessa; il pazzo eroe culturale del campus americano; lo stravagante ribelle all'autorità; il monomaniaco viziato, caparbio, insolente, scortese; il bigotto sabatista fondamentalista dai farneticanti temi astrali … ora se ne può tornare in California con una grossa borsa imbottita di dollari, e rintanarsi a Pasadena, dove si trastullerà tanto e poi tanto con lo scettro di “Re degli scacchi”